C’è un problema di cultura economica nel nostro Paese. E c’è anche un problema di cultura imprenditoriale. Quando qualche ministro si permette di dire che gli imprenditori sono dei “prenditori” lo fa perché sa di vellicare un sentimento diffuso di avversione alla cultura del profitto e dell’impresa.
L’avversione allo spirito imprenditoriale è la culla per ogni forma di perdurante ignoranza economica e finanziaria. Quando ogni anno si celebra – in ottobre – il mese dell’educazione finanziaria si fa una cosa meritevole, ma che richiede un impegno completo e senza riserve verso la cultura imprenditoriale. Il profitto non è il male. Anzi, è compatibile con gli orizzonti di sostenibilità – ambientale, sociale, energetica – che giustamente costituiscono il segno distintivo della nuova sensibilità contemporanea.
Il profitto può non essere l’unico obiettivo dell’impresa – come insegna il movimento delle società benefit – ma non può non essere uno degli obiettivi dell’attività economica. La produzione di ricchezza è la condizione per ridistribuirla. Specie in anni come questi, il primo obiettivo deve essere la crescita. Come ricordava Carlo Cimbri alla recente presentazione del Rapporto “Welfare, Italia”, non ci sarà welfare senza la crescita. E con coraggio si chiedeva quanto dovesse essere “green” lo sviluppo. Con ancora più coraggio il ceo di Unipol lanciava una provocazione: “E’ il tempo della crescita come obiettivo. Anche una crescita light green, purché ci sia la crescita”. Insomma niente ideologia, ma molta attenzione allo sviluppo.
Senza sviluppo economico è difficile costituire le premesse per produrre una solida e rinnovata cultura economica e di conseguenze una sensibilità adeguata nei confronti dell’educazione finanziaria. Educazione e comunicazione vanno di pari passo. Anche per questo credo che sia stato un bel segnale la nomina a presidente di Feduf (la Federazione per l’Educazione finanziaria e al Risparmio) di Stefano Lucchini.
Uomo di comunicazione e di finanza. Uomo di sensibilità e cultura ma non di ideologia. Avrà molto da fare.
“L’educazione finanziaria rappresenta non solo uno strumento di tutela e valorizzazione del patrimonio economico individuale e sociale, ma un diritto di cittadinanza in qualche modo richiamato dalla stessa Costituzione italiana. – ha dichiarato il neo Presidente della Feduf appena eletto – Confido che l’azione della Fondazione, espressione dell’impegno profuso dalle banche per la crescita della cultura economica degli italiani, possa divenire sempre più catalizzante rispetto ai soggetti privati attivi in questo ambito, ponendosi come un fil rouge che colleghi le tante esperienze di successo in una grande azione di sistema”.
E’ un orizzonte di impegno che travalica i confini nazionali. Così come la finanza e l’economia sono per loro natura internazionali. Ma che richiede un’attenzione specifica alle sensibilità della popolazione, con la consapevolezza che il tasso di alfabetizzazione non è solo relativo e differente tra Paese e Paese – purtroppo l’Italia è in fondo a ogni classifica, come ha ribadito l’ultima Indagine sull’Alfabetizzazione e le Competenze Finanziarie degli Italiani, condotta dalla Banca d’Italia quasi un anno fa, su un campione di 2.000 adulti di età compresa tra i 18 ed i 79 anni. Dalla ricerca si apprende che l’alfabetizzazione finanziaria degli italiani differisce nella popolazione a seconda del livello di istruzione – come sostiene Lucchini c’è un problema di inclusività da affrontare – del genere, dell’età e della localizzazione geografica degli intervistati.
Così scopriamo – e c’era da aspettarselo – che i laureati hanno un grado di alfabetizzazione più alto rispetto agli individui con livelli di istruzione più bassi e che l’alfabetizzazione finanziaria è più elevata tra le persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni. E’ bassa invece tra gli under 35, a conferma che non basta frequentare i social media per costruire un sistema di conoscenze stabili e sicure.
Non è solo un problema per il mondo bancario e assicurativo e per la loro clientela. E’ un problema di civiltà. Un problema che riguarda tutte le imprese, la loro reputazione, la loro attenzione alle risorse umane e agli stakeholders, tutti. Riguarda il privato e il pubblico. Basta non accontentarsi di qualche specchietto per le allodole. Non basta evocare l’educazione finanziaria, e ovviamente non posso limitarmi a rammentare le iniziative a favore dell’educazione previdenziale, che dell’educazione finanziaria è una fetta non trascurabile. Non solo. Come ricordava in una recente intervista l’ad di American Express Italia, Melissa Ferretti Peretti, il gap di educazione finanziaria non deve rallentare l’utile operazione cashback. L’Italia è il Paese con il più alto tasso di Pos ma con la minore propensione all’uso della moneta elettronica. E’ tempo di cambiare. Innovazione, rivoluzione digitale, battaglia al contante; in due parole: educazione finanziaria.