C’è stato un periodo della politica italiana nel quale la parola “liberalizzazioni” appariva in ogni programma che si rispettasse. L’orgoglio delle “lenzuolate” di Bersani continuò a sventolare per anni, con un vigore ancor più forte dei suoi effetti reali nella vita del Paese. Poi, impercettibilmente, forse in parallelo alla crisi della politica, è riemersa la moda del “pubblico”, non solo nell’erogazione dei servizi, ma anche nel ruolo dello Stato nell’economia e nelle imprese. Nostalgia dell’Iri? Forse, ma senz’altro nostalgia di una “protezione sociale” che cominciasse dalla gestione stessa delle imprese e dalla conservazione dei posti di lavoro.
Per molti anni si era creata l’equazione: liberalizzare è uguale a tagliare il costo del lavoro, quindi licenziare. Non è così. E non è mai stato così. Liberalizzare vuol dire utilizzare in modo più efficiente le risorse a disposizione, comprese quelle umane.
In questi giorni lo ha ribadito in modo efficace uno studio di Andrea Giuricin (di Ibl, Istituto Bruno Leoni) sul trasporto pubblico locale (Tpl). La sua riflessione parte dalla dolentissima questione dell’Atac. Per chi è romano o per chi ha la ventura di frequentare Roma sa bene che cosa vuol dire aspettare un bus e non poter prevedere i tempi di spostamento da un punto all’altro della Capitale. Per chi è romano sa misurare quanto gli costi – in termini di prelievo fiscale – questa inefficienza.
E’ indubbio che la voce di costo più significativo dell’Atac sia quella legata al costo del personale (oltre il 50%), ma è meno chiaro perché non si proceda ad affrontare il problema del Tpl in un orizzonte più completo, che riguarda il miglioramento del servizio in un regime di competizione. Insomma, perché non si proceda ad avviare una vera liberalizzazione del servizio attraverso una gara.
Giuricin lo spiega con chiarezza: “Non è possibile avere un processo di gara, che porti all’efficienza del sistema, senza avere un sistema di Agenzie che sappiano fare queste gare. A Roma, come nel resto d’Italia non esiste un’Agenzia in grado di fare le gare. I candidati sindaci dovrebbero esprimersi al riguardo: costituire un’Agenzia siffatta sarebbe il primo passo per cambiare le cose. Le Agenzie dovrebbero essere totalmente indipendenti dalla politica, magari con un sistema di finanziamento simile a quello che già succede per l’Autorità di regolazione dei Trasporti. Solamente un’Agenzia forte e indipendente può portare ad avere un settore del trasporto pubblico locale realmente in concorrenza”.
Per il Tpl vale quello che vale per molta parte del nostro Paese, che ha bisogno di risorse, certamente, ma soprattutto di chi le sappia utilizzare. Oltre ai soldi freschi, servono regole nuove.
Liberalizzare non vuol dire licenziare. Liberalizzare vuol dire saper gestire meglio, perché tramite gara – gara vera, non condizionata dai vantaggi dell’incumbent – si cercano i migliori, i più competenti i più capaci operatori. “Un utilizzo efficiente delle risorse, potrebbe portare a un incremento dell’offerta del 25% nell’ambito cittadino romano, a parità di risorse pubbliche in un primo tempo – conferma lo studio di Giuricin/Ibl – successivamente i risparmi possono essere nell’ordine delle centinaia di milioni di euro l’anno e potrebbero davvero portare a un cambiamento importante della mobilità cittadina romana e per le tasche dei contribuenti italiani”.
Tornerà di moda il verbo “liberalizzare”? Me lo auguro. Un timido segnale positivo – a voler essere ottimisti – potrebbe venire dalla firma del decreto (a cura del ministro Stefano Patuanelli) che stabilisce le modalità della liberalizzazione del mercato elettrico per le piccole e medie imprese. E’ auspicabile al più presto un analogo decreto per micro-imprese e famiglie. Il libero mercato viene indicato ancora come un problema dall’Acquirente Unico (Gse, Gestore servizi energetici), che per il mercato elettrico continua a suggerire i servizi “a maggior tutela”. Carlo Stagnaro, anche lui della pregevole squadra dell’Ibl, ricordava di recente che il mercato libero dell’energia offre risparmi fino al 22% rispetto a quello tutelato. Liberalizzare vuol dire favorire la competizione, che se avviene ad armi pari, favorisce sempre il consumatore.