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L’impatto generazionale è l’ultima ipocrisia normativa

Si chiama Valutazione di impatto generazionale (Vig). È un nuovo obbligo che sta per essere introdotto per vigilare sull’adeguatezza delle norme prodotte nel nostro Paese. Cioè, d’ora in poi, ogni legge emanata dal Parlamento dovrà (dovrebbe?) contenere un esame preventivo sugli effetti ambientali, sociali ed economici ricadenti sui giovani e sulle generazioni future.

È lecito avanzare qualche dubbio? Sì. Innanzitutto, se ne riparla all’atto pratico tra sei mesi. È vero che il Consiglio dei ministri del 5 dicembre ha approvato il DDL semplificazione normativa – un collegato alla Legge di Bilancio in via di approvazione alle Camere – che contiene la novità della Vig. Ma è anche vero che la Vig sarà regolamentata da un decreto del presidente del Consiglio dei ministri da emanare entro il 30 giugno 2024. Tra sei mesi, appunto. Un’eternità.

Se dovessimo prendere sul serio – e per buona – la novità normativa sarebbe una rivoluzione. Vorrebbe dire che le prossime manovre finanziarie avrebbero un vincolo in più, fortissimo, sulla possibilità di fare debito. Per deformazione personale mi viene da pensare alle pensioni: non si potranno più aggiustare le riforme previdenziali con quote o scalini capaci di scaricare sulle future generazioni il peso del debito pensionistico. Vorrebbe dire imporre un ricalcolo delle pensioni immediato o una stretta sui pensionamenti incipienti?

L’obiettivo della Vig è promuovere l’equità intergenerazionale, considerando gli effetti ambientali, sociali ed economici sui giovani e sulle generazioni future. La valutazione dell’impatto generazionale, in inglese “youth check”, è stata introdotta nel 2013 dal Parlamento austriaco, e dal 2017 dal Parlamento federale tedesco, con obblighi e impegni differenti.

In Italia siamo abituati ad assistere all’adozione di norme che poi sono disattese nella pratica, senza che nessuno paghi per la mancata applicazione. Soprattutto se a mancare all’impegno sono i soggetti istituzionali e politici. Se l’obbligo ricade sui cittadini, possiamo esserne sicuri, non c’è discrezione che tenga. Se l’obbligo è in capo a un soggetto istituzionale si finisce nell’area dei termini ordinatori. Quando un termine è ordinatorio, il suo mancato rispetto non produce alcuna conseguenza giuridica per il soggetto che non l’ha rispettato. Quando il termine è perentorio – quasi sempre è da intendersi in questo modo l’obbligo imposto al cittadino – il mancato rispetto produce sanzioni.

Qualcosa del genere – è esperienza comune – avviene da sempre di fronte agli obblighi di legge. Se si tratta di vincoli imposti alle istituzioni sono derogabili. Sempre.

Nelle intenzioni la Vig sarebbe un atto di civiltà e di lucidità generazionale. Si parla sempre più spesso di sostenibilità, in campo ambientale, economico e sociale, e una condizione di sostenibilità è quella di assicurare che le risorse future non vengano sottratte anticipatamente a chi viene dopo di noi. L’esempio vale per le pensioni – come detto – ma per ogni spesa pubblica fatta a debito, in un orizzonte temporale che superi quello di un ragionevole investimento.

Fondamentale sarà proprio la regolamentazione della Vig e dei suoi effetti. Chi dovesse promuovere e approvare norme con effetti ambientali, sociali ed economici ricadenti sui giovani e sulle generazioni future, che cosa rischierebbe? Quale arbitro si potrebbe invocare per verificare la pena o la sanzione da irrogare al “colpevole”?

Dobbiamo credere che le organizzazioni sindacali finirebbero per scendere in piazza per richiedere il rispetto della Vig? Chi ha mai difeso, fino a oggi, le giovani generazioni? L’equità generazionale – ottimo argomento per giornali e talk show – ha un costo che temo nessuno sia intenzionato a pagare. Pronto a essere smentito. Ne riparliamo tra sei mesi.

Fonte: Libero Economia