Veronica de Romanis ha avuto il pregio di non essersi accodata alle lodi sperticate del Governo Draghi, in tempi non sospetti. Quando è iniziata la vulgata del Governo dei Migliori l’economista – di certo non lontana da posizioni di centro sinistra – ha sottolineato una grave lacuna del Governo voluto dal presidente Mattarella: la spending review. Ecco perché se in questi giorni ha riproposto l’urgenza del tema in una sorta di lettera aperta al nuovo responsabile del Mef, Giancarlo Giorgetti, non suona come pregiudizio.
Alla sollecitazione della de Romanis mi permetto di aggiungerne una più minuta, ma credo non meno pertinente. Stiamo entrando in un periodo di conclamata recessione, di difficoltà economiche diffuse e acuite da una crisi internazionale fatta di guerra e di emergenza energetica. Le famiglie e le imprese stanno progettando tagli e risparmi per attraversare questa congiuntura con i minori danni possibili. La spending review di casa e di azienda è all’ordine del giorno. Non sarebbe male vedere una stessa predisposizione al risparmio e all’oculatezza anche nei Palazzi di chi ci governa.
Non si tratta di evocare un’austerità masochistica, né tantomeno una ideologica suggestione pauperista, ma di presidiare il rischio dello spreco, per evitarlo, nella vita familiare come nelle scelte di chi amministra il Paese. La stagione dei “commissari” alla spending review non è stata esaltante. Alcuni hanno fatto persino fatica a entrare nel ruolo. Ricordo che Enrico Bondi, nominato dal Governo Monti, dovette smussare la sua rocciosità con gli spigoli della burocrazia. Fece fatica persino ad avere un ufficio da cui operare.
Carlo Cottarelli ne ha fatto una sua bandiera personale, quasi una carriera. Ma se si dovesse misurare l’effetto delle sue relazioni nella vita dell’Amministrazione dello Stato si finirebbe per trovare nulla. Se non il suo personale successo, fatto di amabili rapporti con il mondo dei media e con qualche alto profilo istituzionale. Yoram Gutgeld? Forse è chi si è applicato di più, nei tre anni di incarico. Dal Governo Renzi (2014) al Governo Conte. Ma anche in questo caso i compiti fatti a casa non hanno prodotto un voto positivo nel registro della storia recente del Paese.
Il Governo gialloverde lo sostituì con Laura Castelli. In coppia con Massimo Garavaglia. Una “grillina” (e un leghista) alla conservazione della scatola di tonno? L’obiettivo dichiarato era di aprire la scatola. Il risultato è stato quello di mangiare il tonno, accentuando tutte le politiche di spesa (dal reddito di cittadinanza alle politiche dei bonus su tutto). E infatti un anno dopo, nel 2019, viene cancellato il ruolo del “commissario alla spending review”.
Non ce n’è più bisogno? Con Veronica de Romanis – e temo pochi altri – credo che si senta la mancanza di un Ufficio (non tanto di una persona) dedicato alla verifica puntuale e tignosa dei bilanci di tutti i ministeri e di tutte le amministrazioni centrali dello Stato. Ma un Ufficio incardinato nella Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Mef ha già la Ragioneria generale dello Stato, che di fatto funziona più come centrale di spesa (oculata nel migliore dei casi, ma sempre spesa, budget). Ci vorrebbe un Ufficio indipendente dai singoli Ministeri, sotto l’ala di Palazzo Chigi, per fare le pulci a tutti, indistintamente, ma con potere di intervento, non solo di studio e di analisi.
È chiedere troppo? Il programma enunciato dal nuovo presidente del Consiglio non nasconde ambizioni. Condividere con il Paese una stagione di morigeratezza e di sobrietà nella spesa (qui non si parla evidentemente di tagliare gli investimenti, ma di concentrarsi sulla larghezza con cui ci si accosta da sempre alla spesa corrente) dovrebbe essere una condizione necessaria. Anche se non sufficiente.
Fonte: Libero Economia