Le previsioni del sistema Excelsior-Unioncamere fissano a 3,8 milioni di lavoratori il bisogno occupazionale del Paese nei prossimi cinque anni. Quasi un milione e 200mila di posti in più, rispetto a quelli attuali, visto che circa 2,7 milioni di lavoratori dovrebbero andare in pensione tra quest’anno e il 2027.
Il mercato del lavoro in Italia conferma un dinamismo – almeno potenziale – che dovrebbe far piacere a chi cerca e a chi offre un’occupazione. Sempre l’indagine Excelsior segnala che sono circa mezzo milione i contratti di assunzione programmati dalle imprese a maggio e oltre 1,5 milioni per il trimestre maggio-luglio, con un incremento di oltre 22mila unità rispetto a maggio 2022 (+5,1%). Bene? Sì, ma…
La difficoltà di reperire il personale resta altissima. Nel 46,1% dei casi la ricerca delle aziende non ottiene risultati (+7,8% rispetto a un anno fa), soprattutto a causa della mancanza di candidati. I costi del mismatch tra domanda e offerta di lavoro sono altissimi. Il ritardato o mancato inserimento nelle imprese dei profili professionali necessari provoca rallentamenti nella creazione di valore aggiunto nei diversi settori economici. Per il solo 2022 Unioncamere ha stimato una perdita di valore aggiunto, causata da questo mancato incrocio tra domanda e offerta di lavoro, pari a circa 38 miliardi di euro, stima effettuata considerando una tempistica di difficoltà di reperimento compresa tra 2 e 12 mesi, sulla base di quanto rilevato mensilmente con l’indagine campionaria del sistema informativo Excelsior.
Non aveva torto la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone, quando un paio di mesi fa al Forum Confcommercio annunciava che “abbiamo un milione di posti di lavoro che non riusciamo a coprire, mentre abbiamo tante persone che sono fuori dal circuito lavorativo”. E questo è il paradosso che si aggiunge. In Europa siamo il Paese con il più alto numero di Neet (i giovani 14-29 anni che non studiano e non cercano lavoro), dopo la Romania, e siamo solo capaci di raccogliere le lamentele di chi – forse anche con qualche ragione – ricorda che la ricerca dei posti di lavoro è spesso orientata a basse retribuzioni. Peccato che per accedere a livelli retributivi maggiori serve una maggiore competenza, che sembra assente nell’offerta media dei nostri aspiranti (quando ci sono) lavoratori.
Il 2023 è stato indicato dall’Unione europea come l’”anno delle competenze”. Il problema della formazione – e della formazione lungo tutto l’arco della vita – è comune ad altri Paesi, ma in Italia è drammatico. Ci viene ancora in soccorso la fotografia scattata dal sistema Excelsior: tra le figure di più difficile reperimento si segnalano le professioni tecniche e ad elevata specializzazione gli ingegneri e i tecnici in campo ingegneristico (rispettivamente 61,0% e 65,2%), i tecnici della salute (63,1%), i tecnici della gestione dei processi produttivi (63,0%) e i tecnici della distribuzione commerciale (58,7%); mentre tra le figure degli operai specializzati si distinguono gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (73,5%), i fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (72,2%), i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori macchine fisse/mobili (72,1%) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (71,5%).
Insomma, dove serve una competenza più raffinata – e dove si offre una retribuzione migliore – si scopre la grande carenza formativa dei nostri connazionali. E questo sembra non preoccupare nessuno. Nemmeno a scuola, dove l’aggiornamento dei docenti è lasciato alla libera iniziativa degli interessati: il sindacato si oppone da sempre alla formazione continua obbligatoria. E questi sono i risultati.
Fonte: Libero Economia