Uno su mille ce la fa. Non è confortante per gli altri 999. La proporzione è più o meno quella delle vittime della malagiustizia. Circa mille all’anno i cittadini italiani che subiscono ingiusta detenzione. Ilaria Salis non è tecnicamente in questa contabilità, poiché la sua detenzione si è consumata in Ungheria. E prima di ogni sentenza è impossibile definire una detenzione “ingiusta”, se non per le disumane condizioni in cui la giovane maestra milanese è stata esposta e sottoposta prima e durante l’avvio del processo a suo carico.
Ma certo è che le reazioni di fronte a quelle immagini hanno prodotto una condizione particolare, in qualche modo privilegiata. La stessa telefonata del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al padre di Ilaria, indica una eccezionalità, ottima per chi ne gode, un po’ frustrante per chi ne resta escluso. Roberto Salis ha raccontato che il Capo dello Stato “ha ribadito la sua vicinanza personale a me e alla famiglia e mi ha garantito il suo personale interessamento al caso”. Ci sono circa duemila cittadini italiani detenuti all’estero, più di 500 in Paesi extraeuropei, probabilmente – soprattutto questi ultimi – in condizioni poco rispettose della dignità umana. Perché tanta attenzione a una sola?
Inutile negare che la vita pubblica, non solo la politica, abbia bisogno di simboli. Ma resta il drammatico fatto che per un caso che diventa simbolo, ce ne sono altre centinaia (migliaia?) che restano nell’ombra. A suo modo anche il caso di Chico Forti è uno di quelli che è (finalmente) uscito dalla cortina dell’apparente sopruso. Si tratta di una situazione ancora diversa. In questo caso c’è una condanna – sentenziata in un Paese che difficilmente può essere considerato culla della barbarie – che per molti è una condanna ingiusta. Ben venga dopo 24 anni l’estradizione in Italia, dove almeno potrà ricevere visite e attenzioni dei familiari e degli amici ai quali era stato di fatto sottratto: ma come dicevamo prima ci sono altri duemila italiani che sono (a torto o a ragione) dietro le sbarre di un carcere straniero. Nel caso di Chico Forti l’attenzione “speciale” non è stata quella di Mattarella, ma della premier Giorgia Meloni. Buon per lui, ma questa selettività nell’intervento delle Istituzioni lascia qualche perplessità. Come accade spesso il tema “giustizia” si presta a ogni tipo di strumentalizzazione politica.
Andare in carcere a far visita ad Alfredo Cospito è un atto meritorio e degno di patente progressista; invece, verificare le condizioni di detenzione dei due cittadini americani – Gabriel Natale Hjorth e Finnegan Lee Elder – accusati di aver ucciso il carabiniere Mario Cerciello Rega fu quasi oggetto di censura da parte dell’allora segretario del Pd, Zingaretti.
E poi ci sono le clamorose amnesie. Come quella che sembra aver colpito collettivamente tutti – politici, magistrati, giornalisti, opinion maker di ogni risma – di fronte alla vicenda di chi, come Beniamino Zuncheddu, si è fatto 33 anni di carcere, è stato riconosciuto innocente. Irene Testa e Gaia Tortora (sì, la figlia di Enzo) hanno fatto tanto per svelare i tragici errori che hanno portato all’ingiusta condanna di Zuncheddu. Ma il “caso” è rimasto impigliato nell’informazione di serie B, nessun politico se lo è intestato, nessun magistrato è stato accusato.
La politica, tanto lesta, a cogliere e intestarsi un “caso” di ingiustizia (vera o presunta), fatica a imputare l’errore al giudice che sbaglia. Di chi sarà la colpa dell’errore? Solo delle indagini di polizia giudiziaria? E non piuttosto anche del pubblico ministero, o dei giudici che avrebbero dovuto liquidare con minor frettolosità le tesi difensive di Zuncheddu, ricorrendo ad aggettivi quali ‘fantasiose’, ‘assurde’, ‘disperate’? Nel caso del Pm, ci sono altri casi di errori giudiziari in carriera, e non risulta che abbia mai ricevuto sanzioni dal Csm. Nel caso dei giudici giudicanti, l’errore Zuncheddu è stato seguito da splendide carriere (così come successe ai giudici del caso Tortora). Politici e magistrati si somigliano più di quanto si possa credere. Intenti a cercare simboli, distratti di fronte alla realtà dei cittadini in carne e ossa.
Fonte: Il Riformista