La concorrenza non sarà la panacea per tutti i mali del mercato – ci vuole più Stato in tempi di globalizzazione? – ma resta un elemento imprescindibile per garantire i migliori servizi al prezzo più congruo. Non solo perché lo dice l’Europa, turbando i sonni dei concessionari di lungo corso (soprattutto italiani). Ma soprattutto perché è un modo per iniettare un po’ di efficienza nei mercati dove il sonno del monopolio genera mostri. Soprattutto laddove a erogare i servizi essenziali è lo Stato, o comunque un soggetto pubblico.
Insomma, la concorrenza e la necessità di selezionare i fornitori con gare pubbliche non riguarda solo i balneari. Lo Stato potrebbe iniziare dal perimetro che presidia direttamente o tramite Istituti o Agenzie ad hoc. Dalla materia previdenziale a quella fiscale, fino alla promozione sportiva ci sono aree di servizio di diretta spettanza dello Stato e delle sue Amministrazioni. Nel tempo ci siamo abituati a vedere che il pubblico ha fatto un passo indietro, facendosi sostituire – nella relazione con il cittadino e per l’erogazione delle prestazioni – da intermediari “istituzionali”. Una contraddizione in termini. L’intermediario tra Stato e cittadino non può essere controparte dello Stato e contemporaneamente suo concessionario. Il conflitto di interessi non è dietro l’angolo, ma prima ancora di svoltare.
Talvolta i partiti – soprattutto per la promozione sportiva – ma più spesso le organizzazioni sindacali o datoriali hanno acquisito il diritto esclusivo di esercitare questa intermediazione, costituendo soggetti – i caf o i patronati – che gestiscono la relazione tra cittadino e Stato senza aver mai fatto una gara. Non ci sono capitolati, ma semplici contratti di servizio che dovrebbero essere controllati e validati dalle Amministrazioni pubbliche, che affidano il rapporto con il cittadino a soggetti che sono emanazione diretta di sigle sindacali o datoriali.
Dovrebbero essere controllati… Di fatto non lo sono. La remunerazione affidata a patronati e caf non è molto lontana dal miliardo di euro all’anno. Oltre alla cifra fissa – determinata da una percentuale sul gettito contributivo – si aggiungono i costi per prestazioni specifiche. A esempio il rilascio dell’Isee. L’Inps riconosce al patronato una somma variante dai 10 ai 17 euro a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare. Il pagamento forfettario non è mai stato aggiornato (dal 2015) anche perché l’ultima Relazione al Parlamento sui patronati (relativa all’anno 2018) aveva già segnalato pecche incredibili: discrasie tra le risultanze degli accertamenti cartacei e quelle trasferite in via informatica, ritardi nell’acquisizione delle informazioni, nessuna relazione ispettiva. Solo per indicare alcune delle accertate mancanze nel controllo del servizio, che comunque resta affidato a soggetti che intermediano più del 90% delle pratiche tra cittadini e amministrazione pubblica.
Monopolisti senza gara e senza controlli. Monopolisti emanazione delle associazioni private di corpi intermedi a cui lo Stato affida – scambiando consenso – l’esclusiva della relazione istituzionale con i cittadini. Nella mia non breve permanenza al vertice dell’Inps ho provato a favorire l’accesso diretto dei cittadini ai servizi dell’Istituto, ma ho dovuto arrendermi alla rocciosità delle proteste dei sindacati – molto ascoltate dal Civ e dalla Tecnostruttura – che lamentavano il rischio di un crollo verticale del fatturato delle loro emanazioni patronali.
C’è già molto privato nel pubblico. Private sono le associazioni sindacali, datoriali e politiche. Ma nel pubblico resta questa strana pretesa di considerare “pubblico” quella parte di privato selezionato per cooptazione. In questo caso il conflitto di interesse sembra una colpa veniale. Anzi, nemmeno un peccato.
Fonte: Libero Economia