Governance non è solo la terza parola dell’ormai abusato acronimo Esg. Governance riguarda l’insieme dei principi, delle regole e delle procedure che comportano la gestione e il governo di una società privata, ma anche di un’istituzione. Il nostro Paese sembra aver bisogno di una ricognizione proprio nel suo sistema di governance pubblico. È difficile accettare come fosse normale gli esiti sconfortanti del periodico monitoraggio sull’attesa (spesso vana) dei decreti attuativi di norme approvate dal Parlamento e promulgate dal Capo dello Stato.
Nella sua meritoria osservazione il Sole-24 Ore pochi giorni fa ha rammentato che giacciono attesi 460 decreti senza i quali molte leggi non sono attuabili, sospese nel limbo delle buone intenzioni, private della loro efficacia. Di più: ci sarebbero 175 decreti “scaduti”, cioè ormai andati fuori tempo massimo, invalidando la volontà popolare e il sigillo del Presidente della Repubblica.
È normale? I numeri riguardano le norme varate durante gli ultimi quattro Governi della Repubblica, non è un problema dell’attuale Governo Meloni (che pure ha dato il suo contributo alla cattiva abitudine). E non è nemmeno sensato prendersela con la solita burocrazia. Se le leggi fossero scritte meglio – problema del legislatore, non del burocrate – non servirebbe la pletora di decreti attuativi (più di 2000 durante la vigenza dei due Governi Conte, del Governo Draghi e dell’attuale Dicastero Meloni) attesi e talvolta mai pervenuti.
È una ferita alla credibilità delle Istituzioni nel Paese, che annunciano provvedimenti e poi non riescono a darne attuazione. Un piccolo (o grande?) furto di fiducia, che nessun arbitro sembra in grado di sanzionare. Ogni tanto dal Colle arriva – non solo dall’attuale inquilino, ma anche dai suoi augusti predecessori – qualche reprimenda, qualche rimbrotto, qualche rammarico. Ma tutto prosegue così, da anni. Come se, durante una partita di calcio, fosse possibile ammettere che l’arbitro accetti di convalidare un gol dubbio con la scusa che “è l’ultima volta!”. La vita di un Paese è più importante di una partita di calcio, senza offesa per i tifosi più accaniti dello sport nazionale.
Dietro a una norma annunciata e promessa ci sono attese di famiglie e imprese, ci sono denari impegnati o impegnabili, ci sono investimenti da fare o non fare. C’è la vita reale che nel Palazzo sembra dimenticata, sospesa in quel limbo di annunci senza certificazioni formali.
Credo che dal Governo Renzi in poi si sia presa l’abitudine di illustrare provvedimenti governativi con slide e appunti sintetici, senza accompagnare la comunicazione con le indicazioni certe che possono fare diritto. Si dirà che la comunicazione è tutto, ormai. Ma non credo che sia così, se non per chi di mestiere – se è un mestiere – fa l’influencer e non il servitore dello Stato e del suo Paese.
Un problema di governance che riguarda l’abitudine consolidata di norme raccontate davanti ai microfoni dei media tradizionali o in un post sui social media, ma senza corrispettivo sostanziale della Gazzetta Ufficiale. Lo abbiamo rivisto anche per la norma sugli extra-profitti delle banche. A prescindere dalla valutazione di merito – ci si divide spesso tra “pro” e “contro” senza aver misurato la sostanza delle cose – resta grave e pericoloso per mercati e cittadini, vedere annunci su fattori sensibili di interesse senza che ci sia immediatamente leggibile per tutti la forma della norma. La legge è uguale per tutti, ma finché non c’è la legge scritta di che cosa parliamo?
C’è una confusione istituzionale che ha bisogno di una salda correzione. Serve una governance aggiornata. Inutile celebrare gli anniversari della più bella Costituzione del mondo, quando se ne dimentica la lettera e lo spirito.
Fonte: Libero Economia