Rieccoci con le pensioni. Dopo un anno, trascorso più o meno in silenzio, alla vigilia della nuova Legge di Bilancio si riaccendono i riflettori sulle questioni che riguardano i tempi di uscita dal lavoro e i calcoli dell’assegno previdenziale.
Tra i paradossi che si ripropongono, il primo riguarda lo scarso senso di responsabilità manifestato da molti nostri rappresentanti. Parlare di pensioni vuol dire parlare della vita degli italiani. La gente è attenta alle dichiarazioni e alle promesse: troppi giocano sulla pelle dei giovani (circa il loro orizzonte previdenziale da costruire) o dei meno giovani (circa il tempo e il quantum dell’assegno da incassare) solo per il gusto di intestarsi “quote” e per piantare bandierine sulla montagna del debito pubblico italiano.
Le pensioni sono una cosa seria. Se Matteo Salvini non fosse d’accordo con le ipotesi formulate dal “suo” ministro Giancarlo Giorgetti, potrebbe telefonargli, e non buttare nel ventilatore estivo battute e ipotesi che pur sempre vengono da un ministro della Repubblica, oltre che vicepremier e leader di un partito della coalizione di governo. Parole (e promesse) pesanti, o almeno dovrebbero esserlo.
Al netto delle schermaglie proposte sui social e sui giornali, la questione “pensioni” continua a essere ridotta rispetto alla sua reale portata sociale e generazionale. Il peso sui conti dello Stato non può essere l’unico aspetto di attenzione. La crisi demografica; l’interdipendenza tra pensioni e mercato del lavoro; la necessità di rendere più fluide le regole del lavoro pur di recuperare contribuzione; la necessità di contrastare il lavoro nero, senza aspettare le solite nenie sul caporalato, per garantire risorse al sistema previdenziale; la crescente connessione di assistenza e previdenza (con buona pace di chi insiste nel richiedere conti distinti) figlia dell’aumento dell’aspettativa di vita e della conseguente necessità di guardare alla salute, oltre le garanzie di sanità integrativa assicurate solo durante la vita lavorativa: tutto si tiene. Le pensioni non sono una variabile indipendente del sistema.
Ridursi a giocare con le quote e i numeri (100, 102, 103, 41, come se fosse un’estrazione di un lotto con cifre che superano i 90 tradizionali) contribuisce solo a generare complessità e confusione per i cittadini. E produce l’accumulo di un crescente debito pubblico: Elsa Fornero si è scagliata in questi giorni, con qualche ragione, contro le varianti leghiste (da quota 100 in poi) che sarebbero costate 40 miliardi di euro. Ma anche la ministra sa quanto sono costate le nove cosiddette “salvaguardie” introdotte dopo il varo della “sua” legge, per correggere qualche azzardo, compiuto nonostante gli “alert” che le erano venuti dall’Inps (non voglio riaprire vecchie polemiche, ma ribadire solo la verità dei fatti).
Insomma, in troppi hanno contribuito a creare una vera e propria giungla in tema di pensioni. Una giungla che diventa terreno ideale per avventurosi legulei, avventurieri improbabili e qualche ciarlatano di troppo. In questi giorni c’è chi ha dato notizia di un vademecum compilato dall’esperto di un patronato, che individua 45 modi diversi per uscire dal lavoro, anticipando le regole della legge Fornero. Vero o non vero, quando ci sono troppe varianti c’è poca certezza del diritto; e quando il diritto riguarda il futuro previdenziale si è compiuta un’ingiustizia, amplificando le incertezze e aggiungendo un improprio potere e ruolo agli intermediari.
Intendiamoci, patronati e caf fanno il loro mestiere, ma nella società della (presunta) disintermediazione, amplificare la voce di chi svolge un ruolo per conto terzi (in questo caso al posto dell’Inps) significa aggiungere interpretazioni a quello che dovrebbe essere solo un diritto da riscuotere, in tempi certi.
Al futuro delle pensioni non serve qualche nuovo apprendista stregone, ma un serio e complessivo (e coraggioso) riassetto del mondo del lavoro, per favorire l’accumulo di nuova contribuzione per assicurare il pagamento delle pensioni in essere e per far bene sperare in quelle che si aspettano i giovani.
Fonte: Affari Italiani