Inevitabile che il lavoro sia il tema del giorno. La ripresa c’è e sarà tanto più vigorosa quanto si coglieranno le opportunità di lavoro, che ci sono. In sicurezza. Altrettanto inevitabile che il tema del lavoro si incroci con quello della pandemia e del vaccino. E del “green pass”. Comunque la si pensi sono surreali le frasi di Maurizio Landini. Il segretario della Cgil, di fatto il portavoce sindacale del momento, ha sostenuto che “il green pass non può diventare uno strumento che le aziende possono utilizzare per demansionare, licenziare o discriminare i lavoratori e le lavoratrici”. Ci vuole una legge per renderlo obbligatorio. Ma come? Il leader della intermediazione e del negoziato si rifugia dietro il paravento legislativo?
Il ricatto è esplicito, benché indiretto: nessuna norma deve essere introdotta in questo senso, né a scuola, né nel settore dei trasporti. Né, paradossalmente, nella ristorazione e nel turismo, dove gli unici a doversi dotare di green pass sono i clienti. Normale?
E’ l’anormalità che si è sviluppata nel nostro Paese sul tema del lavoro. Mentre ci sono almeno 450mila posti di lavoro (tra turismo, ristorazione e industria) in cerca di lavoratori, ci si può permettere di erogare il reddito di cittadinanza a circa 3 milioni di cittadini (se si comprendono le pensioni di cittadinanza), a prescindere dalla loro disponibilità a essere occupati. La misura è già costata quest’anno 4,2 miliardi di euro e ne eroderà di questo passo quasi 9 a fine 2021. Un record: lo scorso anno per il sussidio sono stati spesi poco più di 7 miliardi. Il reddito di cittadinanza costa sempre di più per l’effetto combinato dei nuovi ingressi nella platea dei beneficiari determinati dalla crisi economica e dei mancati inserimenti nel mondo del lavoro dei percettori occupabili.
Già perché centinaia di migliaia di “occupabili” non lo sono per le disfunzioni dei centri per l’impiego, dove mancano oltre 10mila operatori. Risultato: circa 750 mila percettori del reddito di cittadinanza ritenuti attivabili, cioè in grado di svolgere una attività, non hanno ancora sottoscritto i patti per il lavoro e iniziato a cercare un impiego. Una distorsione clamorosa di fronte alla quale chi protesta è visto come un disturbatore. Matteo Renzi ha avuto il pregio di dirlo e ridirlo con chiarezza: “La verità è che il reddito di cittadinanza non funziona, tutti lo sanno, nessuno lo ammette. Io sono pronto a discutere delle misure per lottare contro la povertà, ma questa misura non può essere il sussidio diseducativo e clientelare che non ti avvicina al lavoro, come dimostrano i dati”.
A chi sta antipatico l’ex presidente del consiglio raccomandiamo la lettura delle parole del presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni d’Italia, Antonio Decaro. Autorevole rappresentante del Pd, sindaco di Bari, Decaro non ha fatto sconti: “Il reddito di cittadinanza ha aiutato migliaia di famiglie travolte dalla pandemia, ma sul fronte degli inserimenti lavorativi ha fallito ed è giusto correggere la misura in questo senso”. Parole sante che potrebbero essere suggerite direttamente al collega di partito con la delega al Lavoro, nel Governo Draghi. Andrea Orlando invece, si sa, traccheggia, sia sugli ammortizzatori sociali, sia sulle politiche attive del lavoro, nonostante che a fronte degli 11.535 operatori nei centri per l’impiego – la cui assunzione era prevista entro il 2021, finora ne siano stati arruolati meno di mille.
La cultura del sussidio a ogni costo è l’esatto contrario di quella ventata di rinascita del Paese di cui si ha necessità e che si vorrebbe soddisfatta evocando il Pnrr. Ripresa e resilienza non possono restare parole vuote. Il mammismo statalista, all’ombra del quale cresce indisturbato il lavoro nero e l’illegalità, dovrebbe essere bandito, invocando uno spirito di intrapresa personale che, soprattutto nei giovani, deve favorire una selezione in base al merito. Poi, solo poi, chi non ce la fa deve essere aiutato.
Sarebbe il caso di ricordare anche che ogni mancato lavoratore di oggi produce un danno al sistema previdenziale dell’immediato futuro. Ripresa e resilienza hanno bisogno di lavoro, non di sussidi.
Fonte: Libero Economia