Anche la realizzazione dei progetti del Pnrr sconta l’Italia divisa in due. Dopo 160 anni di “unità d’Italia” dobbiamo ancora considerare che il nostro Paese si trascina una irrisolta “questione meridionale”. La “questione settentrionale” che negli ultimi decenni è stata sollevata – non senza ragioni – è in buona parte solo l’altra faccia della prima, incancrenita e inestirpata.
L’atterraggio dei programmi del Pnrr riguarda in gran parte la capacità di spesa degli enti locali (dalle Regioni ai Comuni), di cui è nota una efficienza territoriale assai differenziata. E non a caso due priorità del Pnrr trasversali a tutti gli interventi previsti sono proprio i giovani e la riduzione dei divari territoriali nei diritti di cittadinanza. Il primo passo del percorso educativo, si scontra con un’offerta ancora profondamente disuguale sul territorio: solo il 59,3% dei Comuni italiani offre il servizio nido o altri servizi integrativi per la prima infanzia. Ma nel mezzogiorno questa quota – che è solo una media nazionale – scende al 46%.
I divari continuano ad allargarsi, sia in termini di opportunità ricevute che di apprendimenti. E accompagnano molti minori nella loro formazione, incidendo sul rischio di dispersione scolastica e di abbandono precoce. In Italia il 12,7% i giovani hanno abbandonato la scuola con al massimo la licenza media (dato del 2021). Ma in Sicilia, nello stesso anno, la quota sale al 21,2%.
Come è noto questa Italia a due velocità riguarda tutti gli aspetti della vita sociale. Al 2021, secondo i dati Istat, gli occupati in Italia in età compresa tra i 15 e i 64 anni hanno raggiunto il 58,2% della popolazione. Un valore medio ben lontano dalla percentuale dell’Unione Europea certificata dall’Eurostat: 68,4% nella fascia 15-64 anni. Ma in Italia la media è quella del pollo di Trilussa: nel Nord Ovest la soglia è quasi “europea” con il 65,9% e nel Nord Est addirittura il 67,2%. Al Sud gli occupati nel 2021 sono fermi al 44,8%.
Guardiamo ai Neet, cioè i giovani che non studiano né lavorano. Stessa divaricazione del dato. Nel 2021 sono stati il 32,2% al Sud e il 17,8% nel Centro Nord.
Il Sud una volta aveva la migliore performance almeno nelle nascite. Ormai il Nord – almeno un pezzo del Nord – fa molto meglio. Nell’anno 2020, al primo posto c’è stato il Trentino Alto Adige con 8,6% di nascite, a fronte di una media nazionale del 6,8%, il più basso dall’Unità d’Italia a oggi.
Difficile pensare a una Europa unita quando nemmeno uno dei grandi Paesi fondatori – l’Italia – non è riuscita a compiere la propria unità. In questo quadro ha ancora senso immaginare un dicastero con delega al Sud? Il Governo Meloni – con un rapido ripensamento – ha scelto di affidare la delega del Sud a Raffaele Fitto, titolare dell’incarico per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il PNRR, oltre che per il Sud. Fitto è persona capace e le competenze che si incrociano – tra Europa e Pnrr – possono aiutare il monitoraggio dell’evoluzione della situazione del Sud. Resta incomprensibile come un Paese, dopo 160 anni, debba “certificare” un fallimento clamoroso.
Noi ancora dobbiamo pianificare per un pezzo del Paese “contro” l’altro. Prevalgono ancora le logiche di rivendicazione territoriale e di compensazione. Non basta nemmeno il ministero degli Affari regionali e della Autonomie per “sistematizzare” l’emergenza Sud all’interno del programma di crescita nazionale. L’abolizione della Cassa per il Mezzogiorno e dell’Agenzia per il Sud non hanno coinciso con una capacità di visione integrata delle risorse per il Paese. E ancora dobbiamo progettare la crescita di una parte “contro” l’altra. Basterà il Pnrr per colmare il gap? O rischia di accrescerlo?
Fonte: Libero Economia