In attesa del voto di fiducia “promesso” da Mario Draghi sulla riforma Spadafora-Cartabia in tema di Giustizia, sembra di assistere a un derby tutto interno ai partiti sui tempi di prescrizione e sul limbo della improcedibilità. Come se le lungaggini delle indagini preliminari e dei processi fossero un atto di lesa maestà per il M5S e non un’indicibile ferita per le migliaia di cittadini che restano appesi alla gogna giudiziaria e mediatica, ancora innocenti – per la nostra Costituzione formale – ma irrimediabilmente colpevoli per i tribunali del popolo, ai quali basta un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio per cancellare ogni “sospetto” di innocenza.
E’ uno dei casi più clamorosi di quella asimmetria tra doveri del funzionario pubblico (in questo caso il giudice) e il cittadino (in questo caso il giudicando, in attesa di diventare giudicato) su cui mi sono soffermato venerdì scorso. Asimmetria che si manifesta in quel malcostume che indica come termini perentori di una scadenza solo quelli a carico del cittadino. E definisce ordinatori (quindi rinviabili senza sanzioni) quelli in carico alla Pubblica Amministrazione (Pa).
Ma questa asimmetria si consuma nella vita quotidiana della relazione tra cittadino e Pa. Se in una città – non faccio nomi, ma forse si può immaginare – la rimozione della spazzatura avviene solo in parte o per nulla, lasciando i cittadini in preda a strade maleodoranti e ostaggio di gabbiani e cinghiali (temo che il riferimento alla città si sia fatto evidente, soprattutto per il riferimento ornitologico) non c’è alcun modo di autorizzare l’utente a non pagare la Tari. La tassa è dovuta anche se il servizio non è adempiuto.
Lo stesso vale se a fronte di un blackout elettrico o telefonico – sto scivolando dalla tassa alla tariffazione in bolletta per servizi erogati da soggetti ormai privati, anche se attivi su concessione – il servizio non viene erogato: nessuno sconto viene riconosciuto all’utente, a fronte dell’interruzione del servizio.
In verità in questo caso si può immaginare qualche farraginosa formula di class action. Ma nulla del genere è praticabile di fronte al mancato servizio pubblico. Se parcheggiate l’auto sui binari del tram, impedendone il transito, oltre alla rimozione forzata – e ci mancherebbe! – dovrete pagare il danno per l’interruzione del pubblico servizio. Se siete a bordo di un autobus che si incendia (purtroppo a Roma capita spesso), non vi verrà rimborsato nemmeno il prezzo del biglietto.
Nella riforma della Pa il ministro Brunetta ha lodevolmente immaginato l’adozione del sacrosanto silenzio-assenso. Cioè se a fronte di una domanda, la Pa non risponde entro i termini previsti, è come se avesse detto sì. Perfetto, se devo chiedere un nullaosta per una costruzione o per un cambio di destinazione d’uso per un immobile. Ma se devo aspettare una sentenza? O il dispositivo della stessa?
Né class action né silenzio-assenso è generalizzabile di fronte alla gamma di servizi erogati dalla Pa. E il “servizio” dell’amministrazione della Giustizia è forse il più sensibile, più urgente, più necessario. Eppure, è il meno controllato. Né tantomeno sanzionato il suo ritardo.
Troppo lavoro? Poche risorse disponibili? Tutto possibile, ma di fatto non è il cittadino che deve subire le conseguenze dell’inadeguatezza o dell’incompetenza della macchina burocratica. Negli anni recenti sembra che le cose siano addirittura peggiorate. La funzione legislativa e quella esecutiva – i cui responsabili nel passato avevano il pregio di contornarsi di consulenze autorevoli ed efficienti – oggi preferiscono acquisire la collaborazione di influencer ed esperti in comunicazione. Peccato che con i “like” si gonfia l’ego, ma non si risolvono i problemi e non si evitano le inefficienze. E nessuno paga per le conseguenze.
Le sanzioni scattano solo per il cittadino in ritardo con il pagamento della bolletta della società municipalizzata, non a carico della stessa società che non ha erogato il servizio promesso e per il quale riceve il pagamento. Di fronte a un disservizio nella relazione tra privati, ci si riserva contrattualmente una penale. Se la “colpa” è in capo alla Pa, o ai suoi concessionari, non c’è nemmeno una sanzione.
Fonte: Libero Economia