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Privatizzare gli utili e socializzare le perdite. Il grave errore della grande industria italiana

Privatizzare gli utili, socializzare le perdite. È la buona (cattiva) regola della grande industria italiana (e forse non solo italiana). Non è stata una esclusiva della Fiat, ma certamente dalla corte sabauda degli Agnelli la lezione è stata data e appresa e riproposta da tutte le piccole (e meno piccole) storie di privatizzazioni in Italia.

La citazione può essere ascritta a Ernesto Rossi, che nel volume del 1952, “Settimo: non rubare” analizzò lucidamente le degenerazioni del nostro mercato capitalistico, segnato dall’interdipendenza tra gruppi politici, gruppi industriali e banche (e grande stampa), con sprechi, rendite monopolistiche e assistenzialismo di Stato. Quando le cose vanno bene, vanno bene per gli azionisti, quando vanno male, vanno male per l’intero Paese, chiamato a sostenere finanziariamente – cassa integrazione, incentivi, prestiti bancari a interessi fuori mercato – tutti gli effetti delle crisi di mercato, e di occupazione. Appunto, “privatizzare gli utili, socializzare le perdite”.

La vicenda Stellantis, con le dimissioni imposte all’ad Carlos Tavares, ripropone questa storia, in una versione 2.0. L’ultima generazione degli Agnelli – al secolo Elkann – ha aggiunto all’antica lezione di casa, una strategia rimodernata. Per sopportare gli strali di chi aveva imparato a criticare questo capitalismo “de noantri” – quello fatto con i soldi di Stato – l’Italia repubblicana, dalla seconda Repubblica in poi, aveva indicato la strada maestra: “coprirsi a sinistra”.

E John Elkann esegue alla lettera: coprirsi a sinistra vuol dire comprare la sinistra, che nella crisi dei partiti italiani non coincide più con l’arruolamento nel Pd – Carlo De Benedetti volle la tessera numero 1 del partito nato dalle ceneri del Pci, ma era la prima Repubblica, con qualche sogno in grande di chi cominciava a non esserlo più – ma occupare lo spazio mediatico e di opinione pubblica che coincide con la nuova sinistra. E infatti nel 2019 ecco il grande acquisto – proprio da De Benedetti – delle testate che da decenni hanno fatto l’opinione della sinistra italiana, il giornale-partito di Repubblica, in testa, a seguire l’illuminata corte della Stampa e il corteo della stampa locale che poi sarà rivenduto, come oggetto alieno, rispetto all’obiettivo politico tracciato dagli eredi degli Agnelli.

Avere l’opinione pubblica di sinistra a fianco, in Italia è più che utile, è necessario. Fin dall’inizio Carlos Tavares venne “attribuito” alla bilancia dei francesi di Psa, che conta cinque posti nel consiglio di Stellantis, così come Fca. Il voto dell’ad Tavares fa la differenza, ma siamo sicuri che fosse espressione dei francesi? Per il licenziamento in verità abbiamo visto che ci ha pensato John Elkann, presidente. Una decisione che arriva dopo cinque anni passati a spostare l’attenzione – mediatica – dalla luna (o dalle stelle, visto che il nome Stellantis sarebbe derivato dal verbo latino “stello”, che significa essere illuminato dalle stelle; in buona sostanza, luna o stelle, si tratta degli azionisti) al dito (Tavares).

Quando il saggio indica col dito la luna, lo stolto guarda il dito. E tutta la “grande” – per blasone, ormai, più che per copie – stampa di sinistra si è fermata con entusiasmo al dito, accusando Tavares delle scelte anti-italiane, prima, e oggi accusandolo di essersi ritagliato una super-liquidazione. La grande stampa, come quella più piccola, dovrebbe sapere che nelle grandi società, la presenza dell’azionista nel Cda non è un pro-forma. L’ad, per quanto sia smart e intraprendente, non potrà mai fare nulla se non con l’avallo degli azionisti. Dalla definizione della sua politica stipendiale – nessuno si attribuisce lo stipendio da solo – alla politica di mercato, le grandi scelte, la strategia. E il fatto che l’ad venga rimosso da un giorno con l’altro, dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, che l’unico onnipotente nel cda è l’azionista.

E ora che la vittima sacrificale – il dito, Tavares – è stato deposto e messo alla gogna può ritornare di attualità il vecchio adagio: “Privatizzare gli utili e socializzare le perdite”. Tagliati i rami delle aziende dell’indotto, quindi accompagnati alla disoccupazione migliaia di lavoratori, per salvare l’occupazione in Fiat pensate che non si farà ricorso massiccio alla cassa integrazione? O non si provvederà a definire qualche richiesta di aiuto – incentivi? Fiscalità di vantaggio? – per “socializzare le perdite”? Pronti a scommettere.

Fonte: Il Riformista