La proposta non ha sfondato la campagna elettorale di questa estate, ma Matteo Renzi ci aveva provato: eleggiamo il sindaco d’Italia. Una formula per far vestire al presidente del Consiglio i panni più quotidiani del primo cittadino, suggerendone l’elezione diretta, secondo una delle poche riforme istituzionali che negli anni Novanta hanno cambiato (in meglio) un pezzo delle abitudini del Paese.
A lungo i sindaci sono stati la figura istituzionale più vicina agli italiani – sondaggi diversi lo hanno sempre confermato – e in questo il ministro Pichetto Fratin ha dimostrato almeno una vocazione irresistibile alla gaffe, auspicando il carcere per quegli amministratori in fascia tricolore che non contrastano l’abusivismo edilizio. È certo che di fronte all’incontenibile fragilità del territorio e alla contestuale irreversibile tendenza allo spregio dei divieti si dovrebbe poter trovare uno o più colpevoli. I sindaci sono sempre innocenti perché sono tanto amati dai cittadini? La politica punta il dito sulla burocrazia. La burocrazia sul legislatore. Poi, quando si contano i morti, tutti si dichiarano senza macchia, esibendosi in paradossali pantomime linguistiche per distinguere il condono dalla sanatoria.
Resta il fatto che se a fronte di diciottomila abitanti – quelli ufficiali residenti nei cinque Comuni che compongono l’isola di Ischia – si avanzano 27mila richieste di condono edilizio (di cui solo mille evase) qualche problema politico c’è. Prima, durante e dopo. Non vale nemmeno l’idea delle sanatorie ex post, chiudendo gli occhi sui rischi permanenti: ci dimentichiamo che alle pendici del Vesuvio – vulcano attivo, anche se con lunghi cicli di silenzio – risiede poco meno di un milione di abitanti? Visto che non si può procedere a deportazioni, ovviamente, è normale che le Istituzioni, comprese quelle locali, accettino di buon grado la permanenza di un rischio così esteso e così certo?
Si dirà che anche la California aspetta il suo Big-one, ma l’orizzonte italiano ci dovrebbe bastare per chiederci se i politici, innanzitutto i politici, si comportino con la “diligenza del buon padre di famiglia”. L’espressione che sembra “antica” è viva nel Codice civile e nell’ordinaria giurisprudenza, soprattutto in relazione agli adempimenti contrattuali, che devono essere effettuati con lealtà, impegno, rigore e onestà.
Molto spesso nelle norme del Codice civile si fa riferimento alla condotta tipica di un padre che cerca di dare il meglio per la propria famiglia, per sottolineare la necessità di attuare quanto possibile per evitare di causare dei danni a terzi. Senza ricorrere ai miracoli, né a comportamenti eroici. Il livello di diligenza richiesto non è eccezionale o straordinario, ma deve rispecchiare le attitudini di un uomo normale. Onesto e rigoroso, ma normale.
Questa onesta normalità viene esercitata dai politici che assumono responsabilità amministrative? Le tragedie di questi giorni – l’ultima è quella di Ischia, ma l’alluvione nelle Marche non è poi così lontana nel tempo, solo un paio di mesi fa – dimostrano una fragilità del territorio che è nota, un altrettanto noto mutamento climatico, ma anche un’evidente responsabilità umana che sembra invece impossibile da imputare. E spesso nemmeno da condividere. Si ricordano le colpe del Governo Conte? Giusto. Ma non governava da solo.
Ci si arrende anche di fronte a considerazioni che sembrano risibili e che invece sono la premessa di piccoli e grandi disastri. Molti hanno sorriso di fronte all’orgoglio del Comune di Roma che ha dichiarato di aver ripulito quest’anno oltre 10mila tra tombini e caditoie, a fronte di circa 400mila punti su cui intervenire. Servono quarant’anni per mettere in sicurezza la Capitale di fronte a ormai prevedibilissime bombe d’acqua. C’è poco da stare allegri. Con buona pace del sindaco.
Fonte: Libero Economia