Sempre meglio che lavorare: una delle definizioni del giornalismo attribuita a Luigi Barzini, poi diventato il titolo di un fortunato collage di articoli di Luca Goldoni più o meno trent’anni fa. Non c’era ancora il reddito di cittadinanza. Tutte le semplificazioni sono pericolose, anche se talvolta diventano utili. Sostenere che i giovani rifiutino il lavoro perché “viziati” dal reddito di cittadinanza può essere una forzatura. Ma qualche dubbio è lecito avanzarlo.
Il primo lo insinua un recente sondaggio di Proger Index Research, “Giovani e futuro”. Poco più del 31% dei giovani tra 25 e 35 anni non accetterebbe un lavoro con retribuzione uguale o inferiore al reddito di cittadinanza. Il 38,4%, con un soprassalto di realismo, dichiara che lo accetterebbe “ma solo per fare curriculum”. Per portare il dato ai temi di queste settimane – con annesse polemiche di chi ha dichiarato di non trovare giovani disposti a lavorare come stagionali: manca il 50% della richiesta – quindi nemmeno questo 38,4% farebbe un lavoro non coerente con le proprie aspettative: quindi niente impieghi temporanei nel turismo se l’obiettivo è diventare avvocato o ingegnere.
Vuol dire che tre quarti dei giovani preferisce tenersi il reddito di cittadinanza piuttosto che dire sì a un lavoro che non aggiunga subito denaro e coerenza formativa. Consapevoli che oltre al reddito di cittadinanza c’è l’aiutino familiare: il 57,7% degli intervistati ammette di contare sull’integrazione di reddito garantita dalla famiglia di origine (sempre, qualche volta o raramente). Nulla emerge sulla propensione all’integrazione con il lavoro nero, che forse riguarda più i percettori di reddito di cittadinanza con qualche anno in più.
Ma questa è un’altra distorsione innegabile della misura ogni tanto criticata, ma sostanzialmente mantenuta nelle scelte del Governo. Natale Forlani, con un passato di sindacalista di prima linea, lo dice senza mezzi termini: “Distribuire i sussidi in fretta e furia sulla base delle dichiarazioni Isee sul reddito e sul patrimonio autocertificate dagli interessati, in un Paese dove oltre il 40% dei contribuenti non paga un euro all’erario, non depone bene. A chiarire questi dubbi, dato l’ampio utilizzo che dell’Isee viene fatto da parte delle amministrazioni pubbliche per erogare benefici in favore dei ceti meno abbienti, potevano bastare gli esiti delle indagini campione operate dalla Guardia di finanza, secondo la quale il 70% di queste dichiarazioni non risultava attendibile”.
Non ha torto Tommaso Nannicini quando sostiene che “se le imprese fanno fatica a trovare personale, servono strumenti di selezione, salari dignitosi, niente tirocini gratuiti, investimenti in formazione. Emancipazione, non sfruttamento”. Senatore del Pd, presidente della commissione sugli Enti previdenziali, nel Governo Renzi era l’ascoltato consigliere delle politiche del lavoro. Ma è indubbio che la cultura del sussidio non stia facendo bene alla cultura del lavoro.
Beppe Grillo vaticinava così, qualche anno fa, prima di aprire la scatola di tonno in Parlamento: “Politici ed economisti si impegnano tutti a capire come produrre di più. Dobbiamo pagare il debito, gridano. Dobbiamo lavorare di più, essere più produttivi, tagliare la spesa improduttiva. Siamo condizionati dall’idea che ‘tutti devono guadagnarsi da vivere’, tutti devono essere impegnati in una sorta di fatica perché devono giustificare il loro diritto di esistere. Siamo davanti ad una nuova era, il lavoro retribuito, e cioè legato alla produzione di qualcosa, non è più necessario una volta che si è raggiunto la capacità produttiva attuale”.
Con queste premesse è inevitabile che si sia costruito un mostro: non uno strumento sussidiario di welfare, ma un’alternativa al lavoro, da erogare a pioggia. Otto miliardi all’anno per evitare di lavorare. Quando ne basterebbero la metà (circa 4 miliardi) per aprire i cantieri per le infrastrutture viarie e scolastiche di competenza provinciale per risistemare la rete stradale (1500 cantieri per meno di 1,9 miliardi), e per manutenere gli istituti medi superiori (1700 cantieri per 2,1 miliardi). Stima del giugno 2020 del presidente dell’Upi, Michele de Pascale. Con la metà delle risorse stanziate per il reddito di cittadinanza si potrebbero generare redditi da lavoro. Da lavoro vero. Ma appunto, bisognerebbe lavorare.
Fonte: Espansione