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Il ritiro dal lavoro non crea nuovi posti

È strana la sorte affidata alle pensioni e alla loro continua e incessante riforma. Il tema ha guidato la campagna elettorale di due anni fa. La Lega – e non solo – si fece motivo di vanto nell’inseguire la fine della “riforma Fornero”. Sembrava che si dovesse ridiscutere l’intero impianto di una riforma delle pensioni che in realtà aveva già avuto decine di correzioni in poco più di dieci anni: dalle salvaguardie alle quote.

Nell’agenda di governo l’argomento ha subito progressivi slittamenti, verso il basso, rispetto alle urgenze. I conti pubblici hanno sconsigliato di rimettere mano a una potenziale voragine del bilancio dello Stato, già messo a dura prova dalle esibizioni populiste di “superbonus” e “reddito di cittadinanza”.

Tant’è che al momento risulta che ci sarebbero 23 proposte di legge in materia previdenziale, nei cassetti della Camera o del Senato. Ma non appena sarà necessario ridare fuoco alle polveri della polemica politica il tormentone previdenziale tornerà ad assorbire attenzioni e a confezionare promesse. E a riempire le colonne dei giornali di carta e sul web.

Se non ci penseranno i sindacati prima, o il Governo, dopo, possiamo essere certi che Renato Brunetta non perderà l’occasione di rilanciare il “suo” Cnel, nell’agone della politica, come promesso, prima di ottobre. Una proposta sulla riforma delle pensioni è stata annunciata all’inizio dell’estate. Nel frattempo, l’attivismo del Cnel e del suo presidente si è rivolto curiosamente anche sui temi della sicurezza stradale.

Tutto questo fervore previdenziale, che per ora cova sotto la cenere, è destinato a fare perennemente ombra al problema dei problemi: l’accesso dei giovani al mercato del lavoro. Si badi bene che anche tecnicamente il lavoro dei giovani è la condizione preliminare per ogni ragionevole dibattito sul futuro previdenziale, ma le questioni restano nella sostanza ben separate, come materia da riservare a target elettorali distinti e distanti. Uno che ancora vota, un altro che mostra una confidenza inesistente con le urne. Tra il lavoratore over 55 anni, che spera di intravvedere la pensione nell’arco di pochi anni (e intanto vota), e il lavoratore under 35 anni che ritiene persino inutile parlare di previdenza (e intanto vota sempre di meno) non c’è nessun nesso naturale, se non quello che la Politica con la P maiuscola è in grado di costruire.

Questo collegamento che sarebbe virtuoso – ma che al momento non è nemmeno virtuale – tra i due poli generazionali non può essere inseguito con le rinnovate tentazioni di staffette che si sono sempre rivelate impraticabili, oltre che irragionevoli. Il ritiro dal lavoro non crea nuovi posti. Lo si è detto e lo si è capito, ma ci sono ancora quelli che fingono di non sapere.

Il ponte da creare tra questi lavoratori separati da almeno vent’anni di vita è fatto di progetti seri di formazione, di apprendistato, di cuneo fiscale da ridurre drasticamente, di liberalizzazione e semplificazioni del mercato del lavoro, di fiducia nelle opportunità offerte dalle agenzie (private) del lavoro, a fronte del fallimento continuo dei Centri (pubblici) per l’impiego.

Un tavolo serio dedicato al futuro previdenziale dovrebbe comprendere anche questi temi, persino come prioritari. Il timore invece è che né le nuove rivendicazioni sindacali per il prossimo autunno, né le ricette più smart del Cnel di Brunetta, oseranno affermare che il re è nudo: non c’è futuro previdenziale se non si mette mano a una riforma seria e organizzata del mercato del lavoro, in cui l’accesso dei giovani venga favorito e aiutato non con i soliti bonus, ma con coraggiose modifiche dell’esistente. Senza un nuovo mercato del lavoro è impossibile parlare seriamente del futuro delle pensioni.

Fonte: Espansione