Quando le eccezioni si fanno troppo numerose forse vuol dire che le regole dovrebbero essere cambiate. Il dubbio – qualcosa di più di un dubbio – viene scorrendo l’elenco dei 55 commissari straordinari di Governo che agiscono in deroga alla legislazione vigente per affrontare non solo le emergenze. Uno dei casi che hanno fatto scuola – tra i più recenti – è quello del Commissario sindaco di Genova, Marco Bucci, cui è stato affidato l’onere della ricostruzione del ponte dopo il crollo del “Morandi”. Se avessimo dovuto aspettare gli iter ordinari, saremmo ancora qui a piangere le 43 vittime e a produrre code infinite nella viabilità attorno al capoluogo ligure e al suo porto.
Invece, poco più di un anno e mezzo dopo il crollo – agosto 2018 – il nuovo ponte è stato inaugurato – primavera 2020 – dimostrando almeno due cose: che abbiamo le risorse per realizzare le grandi infrastrutture, e che i tempi che servono sono infinitamente più brevi di quello ai quali la storia italiana ci ha abituato.
Insomma, si può fare. Ma per farlo serve un commissario. Non è detto, peraltro, che avere 55 commissari straordinari sia necessario – siamo sicuri che le “partite” commissariate siano tutte prioritarie? – ma è certo che le procedure ordinarie sono ormai fuori controllo e decisamente fuori tempo.
Senza doverci consegnare all’amaro aforisma di Bertolt Brecht – “sventurata la terra che ha bisogno di eroi” – e senza doverci chiedere se tutti i commissari straordinari di cui il Paese è dotato siano da considerarsi eroi, resta la certezza che molto di quello che non si fa normalmente si potrebbe fare. Ma per farlo occorre uscire dagli iter ordinari. Non sarebbe il caso di cambiare questa “ordinarietà”?
La domanda è retorica, ma il danno che si produce alla vita economica e sociale del Paese è rilevante. Ancora una volta non c’è distinzione di Governi e di maggioranze parlamentari: la somma dei 55 commissari straordinari di governo è frutto di un lungo sedimento che attraversa molti anni recenti e “colori” politici diversi. Sarà che agli italiani piacciono le sfide impossibili, sarà che non riusciamo a programmare, ma è certamente colpa di un iter decisionale inadeguato – forse da sempre – che si è fatto insopportabile con la rapidità con cui cambiano esigenze, problemi e possibili soluzioni.
Se è comprensibile, forse, affidare a un commissario straordinario la gestione di un evento eccezionale – la gestione, almeno nei primi mesi successivi all’accadimento, delle conseguenze tragiche di un’alluvione, o di un terremoto – molto meno comprensibile è scegliere la strada della straordinarietà per eventi di gran lunga programmabili: eventi sportivi, culturali e politici si fissano sulle agende con mesi e anni di anticipo. Del tutto insensato è affidarsi al commissariamento quando si decidono costruzioni di grandi opere e di infrastrutture: in questo caso si denuncia di fatto una vischiosità dei processi decisionali che fanno percepire la presenza di interessi esterni (e illeciti), che richiedono tempi (impropri) per poter essere soddisfatti.
Vuol dire arrendersi di fronte a una impossibile normalità. Peggio: vuol dire riconoscere che la normalità è governata fuori dagli interessi della collettività, sia nella produzione normativa, sia nella gestione amministrativa. Vuol dire certificare la presenza di una malattia profonda nella Pubblica Amministrazione, in chi la governa e in chi la gestisce con l’emanazione di leggi, circolari, decreti che finiscono per costituire una corsa a ostacoli che ha lo scopo di far cadere il Paese e le sue esigenze di vita economica e sociale.
Che senso ha immaginare di nominare un commissario per il piano alloggi universitari, o per combattere lo sfruttamento dei lavoratori agricoli? Eppure, arriveranno anche questi.
Fonte: Libero Economia