L’utilizzo e la diffusione dell’acronimo Pnrr hanno coinciso con l’idea che l’Italia sarebbe stata investita da una pioggia di miliardi di euro, per lo più prestiti da restituire, ma comunque una manna per rimettere in sesto il Paese dopo il Covid (e dopo decenni di crescita infelice).
Ci eravamo convinti che il vecchio ritornello – “non ci sono soldi” – potesse essere sostituito dalla musica dei fatti e dei contanti. Ma con il passare dei mesi l’ottimismo (della volontà?) è stato scalzato dal realismo (dell’abitudine?): le decine di miliardi contabilizzati per piccole e grandi opere continuano per lo più a restare sulla carta. Paradossalmente la realtà cambia meno laddove ci sarebbe più bisogno di novità. Il Sud fatica più del Nord a spendere, confermando il modestissimo trend pre-Pnrr.
Sono sempre più accentuate le difficoltà delle Regioni meridionali, che in realtà dovrebbero usare questa opportunità per accorciare le distanze. E infatti i Comuni del Sud partecipano a più bandi del Pnrr (e quelli medio-piccoli, sotto i 30mila abitanti, sono anche più assidui). Peccato però che finiscano per aggiudicarsene pochi, sempre meno. Perché? Probabilmente perché manca personale specializzato capace di concorrere alle gare pubbliche con la competenza amministrativa richiesta da norme spesso di non facile applicazione.
Risultato: la pioggia di denaro resta sulla carta. E le comunità locali, proprio quelle che ne avrebbero più bisogno, restano a bocca asciutta. Le distanze si mostrano fin dall’inizio delle procedure: per completare la fase di pre-affidamento le amministrazioni meridionali impiegano mediamente oltre undici mesi, contro i sette del Centro, i sei e mezzo del Nord-Est e i quattro e mezzo del Nord-Ovest.
Questa situazione è collegata al mancato ricambio di personale, che ha impedito alle amministrazioni di dotarsi delle competenze necessarie. Lo dimostra anche l’analisi per età e titolo di studio: la percentuale di dipendenti under 40 negli enti locali è solo del 4,8% nel Mezzogiorno, contro il 10,2% nel Centro-Nord; solo il 21,2% dei lavoratori comunali del Mezzogiorno è laureato (contro il 29% del Centro-Nord).
Piove sul bagnato? In verità non piove proprio dove ce ne sarebbe più bisogno. Potremmo guardare alla piaga dei decreti attuativi. In base alle informazioni messe a disposizione dall’ufficio per il programma di governo (Upg), alla data del 16 febbraio, sappiamo che le attuazioni richieste in totale per le norme varate dagli ultimi 4 governi sono 1.921: 470 (circa un quarto del totale) ancora mancano all’appello. Di questo pacchetto 118 norme riguardano l’ultima legge di Bilancio. Secondo uno studio di OpenPolis questo vuol dire che sono fermi 3,5 miliardi di investimenti.
Prendersela con la burocrazia è la cosa più facile, ma inutile ed erronea. Ci vorrebbe una riforma dello Stato che modificasse l’inveterata abitudine dei veti. Popolo catenacciaro nel calcio – almeno prima della rivoluzione del calcio totale che ha contagiato anche le nostre latitudini, anche se con ritardo – abbiamo saputo vincere anche giocando maluccio. In questi mesi, il catenaccio instaurato nel gioco del Pnrr sta finendo per strangolare le opportunità di ripresa. Catenaccio suicida, almeno con quello sui campi di calcio si è vinto tanto. Tutto. Con le interdizioni amministrative si perde tutto. Tutti.
L’esempio della ricostruzione del ponte di Genova resta senza repliche. Il modello di ripresa e di ripristino del collegamento delle due direttrici che attraversano il capoluogo ligure non ha prodotto emulatori. Se è vero che per costruire il ponte di Renzo Piano (al posto del “Morandi”) si è dovuto andare contro ogni regola e regolamento, si dovrebbe comprendere che sono regole e regolamenti da mandare in soffitta.
Fonte: Libero Economia