Toti ed Emiliano, due facce di due medaglie diverse. Una medaglia del centrodestra, una del centrosinistra. E non è la stessa cosa. Mentre il garantismo del centrosinistra è rigorosamente univoco, cioè si rivolge solo ai componenti della medesima compagine politica (per diventare rigorosamente giustizialista per gli avversari politici), il garantismo del centrodestra è imprevedibile, quasi bipolare (nel senso psichiatrico del termine), dissociativo.
Per il governatore della Puglia, Michele Emiliano, c’è l’elemento non secondario, del suo passato di magistrato; una sorta di riassicurazione, quando la polizza del Pd (e dintorni) avesse bisogno di un conforto ulteriore. Dalle cozze pelose regalate da un costruttore barese, alla visita della sorella di un boss locale per presentare il sindaco di Bari (come se fosse un bacio della pantofola) sono passati più di dieci anni, e per i suoi compagni di parte (magistrati) e di partito (Pd e centro sinistra in genere) si tratta di piccole cose, magari di pessimo gusto, ma inadatte a compromettere la credibilità morale e politica – tanto meno giudiziaria – dell’amministratore.
Al povero – si fa per dire – Maurizio Lupi, bastò un rolex regalato al figlio, da un imprenditore amico, senza che fosse aperta alcuna inchiesta giudiziaria, per costringerlo alle dimissioni, quasi dieci anni fa.
Oggi Giovanni Toti, governatore della Liguria in capo al centrodestra, è coinvolto in una inchiesta, avviata quattro anni fa e venuta agli onori della cronaca per l’arresto disposto dal magistrato, proprio alla vigilia del voto di giugno. Le carte – si parla di circa 9000 cartelle – sono state buttate sul tavolo dell’indagato alla vigilia dell’interrogatorio di garanzia, come se fosse possibile leggere il faldone in 48 ore: tanto è il tempo che passa tra l’arresto e l’interrogatorio di garanzia. E la scelta di non rispondere diventa – mediaticamente – una sorta di prima ammissione di colpa. Poco importa che di fronte alla richiesta di essere sentito, pochi giorni fa, il magistrato questa volta lo abbia rimandato a fine maggio. E intanto tra le fila dei suoi alleati incominciano i distinguo: nella Lega innanzitutto. Mentre Salvini si scopre garantista (dopo mesi di giustizialismo condiviso con gli alleati del M5S, ai tempi del Governo Conte 1) il suo compagno di partito e di Governo, Rixi, manda ispettori al porto di Genova (come dire: qualcosa di strano potrebbe esserci). Il ministro Crosetto dice di dover leggere tutto il faldone prima di esprimersi (come se dovesse sostituirsi al magistrato di turno), piuttosto che dichiararsi garantista per metodo.
Introdurre una valutazione di “merito” nel corso di una inchiesta giudiziaria è un approccio scivoloso, oltre che discutibile. O ci si ferma alla Costituzione – non è quella più bella del mondo? – che sostiene l’innocenza di chiunque, fino al terzo grado di giudizio, oppure si va dove ci porta il cuore (e diciamo il cuore per omaggio letterario, ma potremmo sostituire il muscolo cardiaco con altri vocaboli più prosaici: opportunità, convenienza).
Difficile evitare un afflato personale, quando si parla di giustizia e di sentenze anticipate a mezzo stampa. Quando capitò a me di essere limitato nella mia libertà personale, confesso di non aver sentito nessuna voce – nemmeno da quella parte politica che aveva espresso la mia indicazione, come presidente dell’Inps – invocare il diritto costituzionale di innocenza.
Le ferite della gogna mediatica restano anche quando il casellario penale resta candido come la neve. E il triangolo maledetto di magistratura-stampa-politica si conferma più letale di quello delle Bermuda.
Tant’è che non c’è riforma possibile. Anche il ministro Nordio, che da opinionista sui giornali, prima dell’incarico di governo, indicava una strada forte, sicura e di buon senso, oggi si trova a traccheggiare tra impulsi coerenti con quel passato e segnali di discontinuità gravi e allarmanti. Non basta nemmeno ricordare che la divisione delle carriere era nella convinzione solida di Giovanni Falcone, prima ancora che di qualche politico del centrodestra. Il magistrato ucciso dalla mafia disse a chiare lettere che per il Pm “scendere dallo scranno del pubblico ministero seduto accanto alla corte, e per loro sarà un dramma, per sedersi sui tavoli della difesa accanto ai difensori. Perché? Perché saranno parte così come sarà parte la difesa privata”. Falcone dunque aveva ben chiaro che la terzietà del giudice rispetto sia alla difesa che all’avvocato dell’accusa (come amava definirlo): “Perché in effetti è incompatibile l’azione con la giurisdizione: o chiedi l’accusa oppure giudichi”. Si beatificano le persone, dimenticando – anzi, omettendo – le loro opinioni.
Dovremmo accettare la contabilità tragica degli errori giudiziari? Dal 1991 al 31 dicembre 2023 i casi sono stati 31.397: in media, poco più di 951 l’anno. Un migliaio di cittadini italiani, ogni anno, sono messi alla gogna ingiustamente. Per ogni “Enzo Tortora” ci sono altri 950 anonimi cittadini innocenti costretti a entrare nel girone infernale di una giustizia che molti vogliono ancora considerare intoccabile.
Fonte: Il Riformista