Ci vorrebbe una “legge Draghi” sulla governance del Paese. In questi giorni tiene banco il tema della “governance” del Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e di resilienza) per controllare e gestire al meglio i progetti e le risorse (248 miliardi in sei anni) per far ripartire l’Italia. Ma temo che venga sottostimata l’urgenza di mettere mano a una revisione sostanziale dei meccanismi di produzione legislativa.
Nel 1998, quando era Direttore generale del Ministero del Tesoro, Mario Draghi associò il suo nome alla riforma del Testo Unico della Finanza (Tuf). La materia regolata era l’intermediazione finanziaria, ma fondamentale fu lo sforzo di esplicitare e rafforzare i meccanismi di governance delle società, precisando meglio i compiti dei diversi organi societari e specificando gli obblighi informativi, a tutela del mercato e degli azionisti di minoranza, senza, tuttavia, limitare l’autonomia contrattuale o impedire all’impresa di produrre ricchezza. Qualche incertezza normativa sul rapporto della vigilanza tra Consob e Bankitalia c’era, ed è rimasto nonostante la settantina di modifiche sull’impianto di allora, ma lo sforzo mostrava di aver compreso l’obiettivo. Dare certezza e trasparenza al mercato.
La stessa trasparenza e certezza la meritano i cittadini e le imprese di fronte all’elaborazione dei testi normativi, dai quali dipendono in buona parte i loro destini sociali ed economici.
Se un decreto-legge viene licenziato dal Consiglio dei ministri “salvo intese”, che certezza si trasferisce? Fino a qualche anno fa il Consiglio dei ministri era preceduto dal pre-consiglio, per definire e appianare le divergenze tra ministri. Oggi – non da oggi – si procede a tentoni, annunciando e poi contraddicendo gli annunci. La formula “salvo intese” (che compare già con il Governo Monti, ma che diventa prassi nei due Governi Conte) non è l’unico insulto al diritto e alla trasparenza. C’è chi ha ricordato l’unico punto all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri n. 57, del 30 aprile 2019: «Il Consiglio dei Ministri è convocato in data odierna alle ore 21,00 a Palazzo Chigi, per l’esame del seguente ordine del giorno: – Varie ed eventuali».
Il malcostume diventa spesso ridicolo, se non scaricasse conseguenze negative sulla vita di tutti.
Qui siamo molto prima della necessaria Riforma della Pubblica Amministrazione. Siamo all’abc delle regole del gioco democratico e della necessità di arbitrare con sicurezza il governo del Paese.
Al “salvo intese” – e al paradossale ordine del giorno “varie ed eventuali” – aggiungiamo la specialità italiana dei decreti attuativi (le leggi negli altri Paesi sono auto-esplicative) richiesti dalle leggi e mai redatti. Le attuazioni richieste cumulate dal 2018 a oggi ammontano a 1.178, di cui 675 (il 57,3%) ancora mancano all’appello. La norma con la percentuale più alta di attuazioni mancanti sul totale di quelle richieste è però il decreto Covid Semplificazioni. Una misura che era stata pensata appositamente per rendere più agevole l’assegnazione degli appalti pubblici. Ad oggi mancano ancora all’appello 31 decreti attuativi su 37, l’83,8%.
C’è un problema di “governance”? Sì. Che diventa un problema di democrazia sostanziale.
Con il governo Draghi, fino al mese scorso, era scomparso il “salvo intese”. I primi nove decreti-legge del Governo sono stati tutti pubblicati in Gazzetta entro 3 giorni al massimo, ma addirittura 7 il giorno stesso, come prescrive letteralmente l’articolo 77 della Costituzione. Vediamo qualche segno di incertezza sul Decreto Sostegni bis, annunciato da quindici giorni. Speriamo di essere smentiti e confortati. Ma resta la necessità di dare una regola che dia certezza agli atti legislativi. I testi sembrano vigilati dai partiti e non dagli uffici tecnico-legislativi. E fa la differenza. Anche per l’arbitro finale: il Capo dello Stato, spesso in imbarazzo (Napolitano prima ancora di Mattarella) nel riconoscere “necessità e urgenza” ai testi dei decreti convertiti in legge.
Qualcuno vide nella Legge Draghi del ’98 il primo «whatever it takes» del futuro presidente della Bce. Un atto di forza e trasparenza simile serve all’iter di formazione delle leggi.
Fonte: Libero Economia