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Un Avengers al Colle: serve un tetto alla rielezione

La sensazione è che ai cittadini non interessi molto. Ma certamente la questione appassiona molto i politici e quindi i giornali che vengono scritti ormai per la piccola e potente comunità dei Palazzi, raramente per i cittadini: parliamo della possibilità di fare il Governatore di Regione per più di due mandati. Le vene ai polsi sono tremate a pochi? Appunto. Ma la politica italiana aspetta febbrilmente una sentenza della Corte costituzionale (attesa entro aprile) che dovrebbe derimere il dubbio, almeno in tempo utile per la tornata elettorale di autunno. Sei le Regioni coinvolte: Toscana, Veneto, Campania, Puglia, Marche e Valle d’Aosta.

Un bel test per i partiti. E per gli elettori: sarà interessante se andrà al seggio almeno la metà degli aventi diritto. Ahimé, questa è la percentuale cui ci hanno abituato le ultime elezioni, dalla Liguria all’Emilia Romagna.

Un bel test soprattutto per due governatori – Luca Zaia in Veneto, Vincenzo De Luca in Campania – che sono direttamente interessati al dilemma. De Luca sta concludendo il suo secondo mandato e punta al terzo; Zaia in verità sta concludendo il terzo consecutivo, ma punta al quarto, che in un computo da Azzeccagarbugli (che non riguarda solo lui) potrebbe essere considerato “solo” il terzo. Ma qui si apre una delle tante varianti che rende il tema tipico dell’incertezza normativa che vige nel nostro Paese. Non si è nemmeno certi della numerazione ordinale: primo, secondo, terzo? Boh. Secondo taluni dipenderebbe da quando le singole Regioni hanno “adottato” la norma della legge nazionale del 2004 che suggeriva (non imponeva!) di non andare oltre i due mandati consecutivi.

Da qui la richiesta di una pronuncia della Consulta, per provare a chiarire, una volta per tutte, se è lecito avere nel Paese una regola univoca e certa, al di là dell’autonomia legislativa regionale.

La certezza del diritto nel nostro Paese è affare sfuggente. Una contraddizione in termini. Un ossimoro. D’altronde siamo lo Stato del “Milleproroghe”, esempio plastico della possibilità di decretare per “necessità e urgenza” argomenti e temi che si tramandano da una generazione con l’altra.

Siamo lo Stato che trasforma le eccezioni in regole vigenti. E a proposito di “mandati”, e di pareri definitivi e rasserenanti, dovremmo avere il coraggio di verificare anche quello del Capo dello Stato. Sia detto con rispetto assoluto sia per l’Istituzione, sia per l’Inquilino pro tempore del Quirinale. Ma se dovessimo cercare una certezza sui mandati dei Governatori delle Regioni italiane, potremmo anche sperare in un raggio di luce conclusivo anche per il mandato della Presidenza della Repubblica?

Non è questione di poco conto. Se è vero che un mandato regionale che supera i dieci anni consecutivi rischia di trasformare un Governatore in un piccolo Re, a maggior ragione un multiplo di sette anni al vertice della Repubblica – che vuol dire vertice della magistratura, delle forze armate, così come autorità che conferisce il mandato dei Governi e dei singoli ministri – può legittimamente generare il dubbio di un “superpotere”, altro che “Avengers”.

In realtà, poco più di tre anni fa (dicembre 2021), due senatori del Pd (Dario Parrini e Luigi Zanda) e un loro collega del gruppo delle autonomie (Gianclaudio Bressa) presentarono un disegno di legge per modificare due articoli della Costituzione sull’elezione del presidente della Repubblica: in primo luogo, la proposta di Parrini, Zanda e Bressa chiedeva di cambiare l’articolo 85 della Costituzione, in modo che il primo comma recitasse: «Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni e non è rieleggibile». In secondo luogo, i tre senatori proponevano di cancellare l’articolo 88 della Costituzione, quello che norma il cosiddetto “semestre bianco”. In base a questo articolo, il Presidente della Repubblica non può sciogliere le camere «negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura». L’intento del semestre bianco era quello di evitare che il Presidente della Repubblica, nei suoi ultimi mesi di mandato, potesse sciogliere le Camere attraverso elezioni anticipate e favorire così la formazione di un Parlamento, magari meglio disposto verso una sua rielezione. Ma se venisse introdotta l’impossibilità di rieleggere il Presidente della Repubblica, il senso del semestre bianco verrebbe meno.

L’idea di Zanda, Parrini e Bressa era collegata con l’eccezione consumatasi nell’aprile 2013 con la rielezione di Giorgio Napolitano. Poco meno di due anni aggiunti al primo settennato, e conclusi con le dimissioni del gennaio 2015. Doveva essere una eccezione, qualcuno la vide come un “vulnus” alla Costituzione. Di fatto, nel 2022 è accaduto lo stesso a Sergio Mattarella. Richiamato al Quirinale dopo aver fatto pacchi e scatoloni e dopo aver dichiarato che la Costituzione non indicava a caso un mandato di sette anni, e non di più.

Ora, visto che il limite del primo mandato è stato superato e non c’è un vincolo esplicito per un secondo – né per un terzo mandato – se l’Inquilino del Quirinale avesse l’età di Macron potrebbe puntare a quale multiplo di sette? Potrebbe restare 14, 21 o 28 anni? I francesi dopo due settennati di Mitterrand hanno deciso di ridurre a cinque anni l’incarico all’Eliseo.

Quando in aprile la Consulta avrà vaticinato sul numero di mandati dei Governatori di Regione, prenderà in esame anche quelli del Capo dello Stato? Così, per avere una certezza in più. Sempre che i cittadini fossero interessati.

Fonte: Il Riformista