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Un Paese immobile preoccupato del futuro

Solo il 14% degli italiani pensa di vivere – da qui ai prossimi cinque anni – in un Paese moderno e proiettato nel futuro. Un po’ poco, soprattutto per chi, più giovane, avrebbe il diritto e anche il dovere di guardare con ottimismo al tempo che viene.

Il sondaggio Swg per Espansione fotografa un Paese immobile, impaurito dal futuro, annichilito dai problemi, insoddisfatto dai servizi essenziali: la sanità preoccupa, ma anche la scuola la si vorrebbe radicalmente diversa da quella che è. Oltre al timore di non farcela a tirare a fine mese – il 65% degli intervistati dichiara di fare fatica a gestire le spese familiari essenziali – un segnale preoccupante è proprio questo scollamento tra le attese degli italiani e il servizio erogato, su due fronti così delicati: salute e scuola. La salute si incaglia sul presente, sulle esigenze immediate, sulle liste d’attesa infinite: e qui forse sarebbe il caso di capire meglio quanto realisticamente possa fare la sanità pubblica e quanto invece debba poter fare l’integrazione privata.

La scuola, d’altro canto, ripropone il tema del futuro, con maggiore evidenza. È indicata in fondo ai problemi avvertiti dagli italiani – sempre poco propensi a guardare lontano – ma la bocciatura è senza scampo. Il 65% degli intervistati ritiene che il sistema scolastico abbia bisogno di cambiamenti radicali. Ad aggiungere preoccupazione alla preoccupazione è che questo sentimento è duraturo e costante da più di dieci anni. La bocciatura della scuola non è un’opinione recente ma consolidata. Dal 2010 a oggi il 60% degli italiani ha mostrato ininterrottamente di pensarla così. È cambiato qualcosa? No. Bocciati gli insegnanti (secondo il 61% degli italiani hanno competenze inadeguate), bocciata la propensione al merito (solo il 27% vede nella scuola un luogo dove il merito è premiato), bocciata la preparazione al mondo del lavoro (solo il 18% crede che il percorso scuola-lavoro sia costruito positivamente).

Le carenze della scuola sono le carenze della “fabbrica del futuro”. Difficile pensare che domani possa essere migliore di oggi se il sistema scolastico viene considerato inadeguato.

Che si tratti di classifiche stilate dall’Ocse, dalla Commissione europea, o da istituti di ricerca privata, come l’inglese The Economist Intelligence Unit, l’Italia è sempre in coda per qualità media della preparazione scolastica. In testa ci sono i Paesi del Nord Europa, quelli baltici soprattutto. Forse influirà la bassa densità della popolazione, ma tutti concordano che un fattore distintivo delle buone performance nelle latitudini settentrionali consista nella formazione degli insegnanti.

In primo luogo, la selezione del personale docente – in Finlandia, Estonia, Danimarca, per fare qualche esempio – è molto severa: per insegnare, in ogni ordine di scuola, bisogna essere laureati, ovviamente, ma anche aver conseguito ottimi voti alle superiori e superare parecchi test. In generale, solo il 10% circa degli aspiranti insegnanti viene assunto, cosa che fa sì che la preparazione dei docenti sia molto alta e che il loro status sociale sia elevato; ovviamente anche i salari sono, di conseguenza, al di sopra della media europea. Ma la componente salariale è successiva alle performance richieste.

Il 2023 è stato indicato dall’Unione europea come l’”anno delle competenze”. Il problema della formazione – e della formazione lungo tutto l’arco della vita – è comune ad altri Paesi, ma in Italia è drammatico. Ci viene in soccorso una delle ultime fotografie scattate dal sistema Excelsior (l’indagine periodica sul mercato del lavoro): tra le figure di più difficile reperimento si segnalano le professioni tecniche e ad elevata specializzazione gli ingegneri e i tecnici in campo ingegneristico (rispettivamente 61,0% e 65,2%), i tecnici della salute (63,1%), i tecnici della gestione dei processi produttivi (63,0%) e i tecnici della distribuzione commerciale (58,7%); mentre tra le figure degli operai specializzati si distinguono gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (73,5%), i fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (72,2%), i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori macchine fisse/mobili (72,1%) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (71,5%).

Insomma, dove serve una competenza più raffinata – e dove si offre una retribuzione migliore – si scopre la grande carenza formativa dei nostri connazionali. E questo sembra non preoccupare nessuno. Nemmeno la scuola, dove l’aggiornamento dei docenti è lasciato alla libera iniziativa degli interessati: il sindacato si oppone da sempre alla formazione continua obbligatoria. E questi sono i risultati.

Dal sondaggio Espansione-Swg viene confermata la sensazione – nei numeri c’è qualcosa di più: la percezione, la convinzione – che il mondo della scuola sia costruito per chi ci lavora (insegnanti e personale non docente) piuttosto che per chi la frequenta (i giovani). E questo non serve al Paese e al suo futuro.

Fonte: Espansione